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Lo scorpione di Pramollo

Più di dieci anni fa, Giordano Marsiglio, effettuando un’indagine fotografica della situazione geologica presso Passo Pramollo, a Pontebba, poco distante dal confine austriaco, si incuriosì osservando i particolari riflessi prodotti da una pietra che si trovava lì in terra. Ben consapevole che la località è ricchissima in testimonianze fossili e, compresa da subito l’unicità del pezzo in questione, si premurò di preservarlo. Sulla scura roccia era ben visibile la presenza del resto di qualche forma di artropode, non facile però riconoscerlo: uno scorpione? una cavalletta?

Le incertezze svanirono nel 2016 quando il professor Paul Selden, del dipartimento geologico dell’Università del Kansas, insieme a Jason Dunlop (Museum für Naturkunde, Leibniz Institute for Evolution and Biodiversity Science) e Luca Simonetto (Museo Friulano di Storia Naturale) riconosciuta l’unicità dell’esemplare, lo sottoposero a un attento studio.
Si trattava del primissimo esemplare di una specie nuova alla paleontologia: Parageralinura marsiglioi.

Ricostruzione di Parageralinura marsiglioi. Illustrazione di Andrea Morandini

Battezzato così in onore dello scopritore, P. marsiglioi era un “uropigio” (Thelyphonida) un aracnide imparentato con i ragni e con gli scorpioni. Gli uropigi sono artropodi presenti anche ai nostri giorni, e popolano regioni umide, dove sono soliti muoversi nascondendosi nel sottobosco. Si tratta di invertebrati predatori, che afferrano le prede con i robusti pedipalpi, simili a chele. P. marsiglioi aveva molto probabilmente uno stile di vita simile a quello dei suoi cugini nostri contemporanei, popolando le umide foreste che dominavano il pontebbano durante il carbonifero superiore, circa 300 milioni di anni fa. A quel tempo la nostra regione si trovava in una zona equatoriale e il clima era caldo umido.

Whipscorpion

Moderno Uropigio. Fotografia di Justin Overholt

Altra caratteristica degli uropigi è la presenza di un “pungiglione” detto telson che (a differenza degli scorpioni) non utilizzano per inoculare veleno ma per emettere un acido dall’odore sgradevole utile a scoraggiare i predatori. La presenza di questo meccanismo difensivo, e le sue abitudini predatorie, ci permette di assumere che quella zona fosse un tempo un habitat pluviale complesso con animali che predavano e che venivano predati dal nostro “scorpione del Pramollo”; un ecosistema ancora da scoprire.

L’olotipo è custodito presso il Museum, museo archeologico e naturalistico di Tarcento.

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